NEVE E OZIO: CAPACITA' PSICHICA DI STARE A MAGGESE

26.02.2018

"Erano ormai quattro notti e tre giorni che la neve cadeva ininterrottamente, una neve buona, a piccoli fiocchi e resistente, che nel corso dell'ultima notte era gelata diventando dura come il vetro. Chi non aveva spazzato e spalato ogni giorno davanti alla porta di casa ora era assediato e doveva ricorrere alla zappa per liberare l'ingresso, la porta e il finestrino della cantina. Cosi' era accaduto a molti del paese che armeggiavano brontolando davanti alle loro case, con stivali di montone, muffole a sciarpe di lana avvolte intorno al collo e alle orecchie. I tipi tranquilli si rallegravano del fatto che la nevicata fosse giunta prima del gelo, a protezione dei loro campi con la semina invernale altrimenti minacciata. Ma qui come altrove i tipi tranquilli sono in minoranza, e la maggior parte piagnucolava indispettita per gli eccessivi rigori dell'inverno, si raccontava a vicenda l'ammontare dei propri danni e si scambiava storie mostruose di inverni altrettanto rigidi. Ma in tutto il paese erano a malapena due o tre le persone per le quali questo giorno meraviglioso non significasse preoccupazioni e fastidi, bensì gioia, splendore e magnificenza di Dio."

In questi giorni Buran, un vento di aria gelida proveniente dalle steppe della pianura a ovest degli Urali, ci ha obbligati tutti a rivedere i nostri ritmi di vita e le nostre agende. Forse potremmo ringraziare questo gelo siberiano dal nome spaventoso, perché ci obbliga a ragionare su come affrontiamo la vita e le difficoltà che essa ci impone. Questa neve che ci tiene a casa,  a lasciare le auto in garage, a mangiare quello che c'è in frigo, è un e-vento di "forza maggiore" che può provocare in noi emozioni divergenti, perché tocca parti inconsce e consce: può allietarci perché ci costringe a tempi e spazi diversi dalla vita quotidiana; può spaventarci per la sensazione di immobilismo forzato; può irritarci per il suo opporsi agli obiettivi che avevamo. Il fermarsi obbligato è una situazione soventemente associata a eventi che muovono contro la volontà del soggetto e si impongono come realtà con cui fare un esame e un lavoro di accettazione/ lutto. La malattia, come le intemperie, o gli eventi catastrofici hanno un potente effetto dissociativo sull'individuo perché impongono uno stacco con la normalità acquisita. Come ci spiega Piaget la nostra mente funziona per assimilazione (un evento o un oggetto viene assimilato ovvero inserito in uno schema comportamentale o cognitivo già presente nella nostra mente consentendo la categorizzazione di quel dato di realtà) e per accomodamento (a fronte di una esperienza nuova e diversa, la mente cambia struttura cognitiva e schema comportamentale per fare propri i nuovi dati di realtà e costruire una nuova conoscenza), allo scopo di raggiungere un adattamento alla realtà. Ogni evento o fatto nuovo porta a doverci riadattare e riorganizzare sia a livello mentale che comportamentale. La novità, tanto più se in qualche modo ostacolante un nostro obiettivo a breve e lungo termine, può provocare reazioni emotive negative. Dunque l' evento che si palesa come ignoto e spontaneo, ci obbliga a rivedere le nostre dimensioni esistenziali. La nostra parte adulta e cosciente scalpita a fronte delle scomodità che la neve impone; ma la parte bambina si ridesta e viene cullata dal desiderio di regredire, di stare al caldo della casa, che come un ventre materno protegge e dona sicurezza. Da una parte dunque desideriamo stupirci ancora delle nostre parti bambine, che vorrebbero giocare e riposare al sicuro. Il fermarsi obbligato è un momento di recupero psicologico a fronte delle tensioni esistenziali, poiché mette il soggetto in uno stato di inettitudine vigile e cosciente, lo stare a "maggese" direbbe Winnicott, una funzione "del processo di personalizzazione dell'individuo" (Masud, Khan, 1977, p. 128). Lo stare a maggese è "una pacata riluttanza ad applicarci a qualcosa che dovremmo fare. Ci rimproveriamo con severità ammonitrice, ma in qualche modo non riusciamo a muovere o costringere la nostra capacità esecutiva al dovere" (Ibidem., p. 129). Di norma lo stare a maggese è funzione di un Io sano ed è uno stato che la mente sviluppa in modo autonomo, a prescindere della realtà esterna. Quando è la stessa realtà ad imporci questo ozio sentiamo emozioni discordanti: dovremmo andare al lavoro ma la neve ci ferma, dovremmo fare la spesa ma la neve ci ferma, dovremmo spostare l'auto ma la neve ci ferma. La realtà si impone e ci obbliga a fermarci. Questo stop non sempre coincide con lo stato placido e benevolo dello "stare a maggese", ma anzi per molti è una condizione angosciosa e di svuotamento. Se il fermarsi obbligato viene trasformato nello "stare a maggese" allora la psiche ne trae grande giovamento. E così il conflitto tra istanza superegoica e Io, ovvero tra giudizio morale e coscienza individuale, si placa: "sentiamo che abbiamo bisogno di restare un po' in ozio e di intuire lo sbocco di questo umore passivo benevolmente languido. Se la coscienza o l'ambiente ci costringono ad uscire ci sentiamo irritati e scontrosi." (Ivi). È come se i nostri sensi di colpa fossero mitigati dalla realtà. La realtà esterna che si impone ci da in qualche modo il diritto di vedere alcuni nostri bisogni castrati, celati dall' adultità, e ci obbliga ad essere creativi. Lo stupore dell'inatteso consente di mettere in pratica soluzioni creative nuove e di rivedere meccanismi automatici spesso dati per scontati. D.W. Winnicott dice "La capacità di provare ancora stupore è essenziale nel processo della creatività." e anche "È nel giocare e soltanto mentre gioca che l'individuo, bambino o adulto, è in grado di essere creativo e di fare uso dell'intera personalità, ed è solo nell'essere creativo che l'individuo scopre il sé." Riuscire a godere di questo forzato stato di maggese dunque non è semplice perché è una capacità dell'Io che chiama in causa competenze creative, non passive, bensì vigili e attente a noi stessi e alla nostra volontà. Saper riposare e oziare è una competenza che non tutti hanno acquisito, che non può essere forzata pena l'essere un vano sforzo dissipatore, sempre bandito da una ossessionata ricerca di esperienze che riempiano il vuoto sentito. Mentre la possibilità di oziare di fronte allo svuotamento dell'accadere e di fronte al ripetersi giornaliero può amplificare le risorse personali e la capacità creativa, linfa vitale di una mente sana.

Bibliografia:

Hesse, H. L'arte dell'ozio. Edizioni mondadori, 2013.

AA.VV. (1977). Il pensiero di Donald, W. Winnicott. Armando Editore, 1982

Winnicott, D.W. (1965). Sviluppo affettivo e ambiente. Armando Editore, 2004. 

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