CHIEDERE AIUTO: PAURE E ASPETTATIVE NELLA RICHIESTA DI UN PERCORSO DI PSICOTERAPIA

18.04.2018

Chiedere aiuto ad uno psicologo o a uno psicoterapeuta è un passaggio delicato e denso di conflittualità, talvolta procrastinato per anni (in alcuni casi fino a decenni) (Elliott et al., 2015), altre volte fatto sull'onda del sentire del momento, della crisi di passaggio, del bisogno di un consiglio che poi si risolve senza un vero e proprio approfondimento. In entrambi i casi paura e smarrimento portano la persona che chiede aiuto a muoversi in modo caotico e confusivo, barcamenandosi da solo, per molto tempo prima di accettare la possibilità di chiedere una psicoterapia. L'accettazione del bisogno di una psicoterapia è infatti talvolta dolorosa e tocca sentimenti contrastanti di fallimento, paura dello stigma o della tara, paura del cambiamento, timore di dipendere da qualcun altro (il terapeuta), sensazione di perdita di controllo; allo stesso tempo nella possibilità di chiedere aiuto, spesso si cela il desiderio di ripristino delle competenze della vita precedente all'insorgenza del problema, degli equilibri sentiti come "persi". Fatta la prima domanda di aiuto, che può avvenire tramite una chiamata telefonica o uno o più colloqui iniziali, spesso la valutazione dei costi (anche economici!) e dei benefici di una psicoterapia richiede un' elaborazione di mesi, fino ad un anno (Elliott, et al. 2015). Passato questo periodo finestra, se si intraprende il percorso, consapevoli di tutte le variabili che esso determina (spesa economica, impegno temporale, investimento emotivo), l'andamento diventa più lineare e la persona elabora le medesime paure all'interno del processo terapeutico stesso, in presenza del terapeuta. La richiesta di aiuto detta "help seeking" (Gross e McMullen, 1983) è dunque determinata da un processo decisionale che consta di tre passaggi: 1) riconoscere di avere un problema per cui si ha bisogno di aiuto esterno; 2) decidere di chiedere aiuto; 3) individuare la persona idonea a rispondere a questa richiesta di aiuto.

· Quando si chiede aiuto? Riconoscere il problema:

La persona che sente di non star più bene come prima percepisce un cambiamento disfunzionale rispetto a diverse aree della propria vita, con una invalidazione di competenze e abilità. Talvolta il problema è di natura esistenziale (fare una scelta, accettare un cambiamento, capire un proprio comportamento etc.); altre volte il problema è di natura psicopatologica e riguarda l'emersione di un sintomo o disturbo di natura psicopatologica. Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5, 2014) sostiene che un Disturbo Mentale sia presente quando " (vi è) un' alterazione chiaramente significativa della sfera cognitiva, della regolazione delle emozioni, e del comportamento di un individuo... (questi) sono associati a un livello significativo di disagio o disabilità in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti." (DSM-5, 2014 p. 22).

· Cosa ci blocca nel chiedere aiuto? Accettare il problema:

I processi di pensiero e gli stati emotivi che rendono difficile chiedere aiuto a uno specialista della psiche sono diversi. Tra questi i più rilevanti sono:

  • Sensazione di fallimento, sentirsi deboli, e sconforto rispetto al percepirsi diversi a causa del sintomo o della problematica emersa, ovvero sentire che il sintomo e la problematica emersa bloccano la propria vita ma non si hanno mezzi e risorse personali per venirne fuori.
  • Paura del cambiamento e timore che la psicoterapia faccia emergere o scoprire cose di sé stessi diverse o sconosciute. Questo pensiero è retaggio di una psicologia dell'inconscio spesso banalizzata e non scientificamente fondata.
  • Senso di colpa o vergogna per l'espressione del problema a persone sconosciute o esterne alla propria cerchia. Più in generale, difficoltà nell'accettare di esporre ad altri i propri pensieri e le problematiche sentite come invalidanti.
  • Paura del giudizio, basata sull'idea che lo psicoterapeuta darà un giudizio di stima o qualità a quanto raccontato. Questo pensiero parte spesso dall'aspettativa scorretta che lo psicoterapeuta sia uno specialista "del consiglio", e che andando da lui si riceverà la risposta giusta sul da farsi, una sorta di magica panacea esterna di tutti i mali. In questo processo di pensiero vi è anche il leggere la terapia come farmaco, ovvero qualcosa che si assume passivamente, più che fare attivamente.
  • Paura della tara o dello stigma, ovvero timore che ammettere il problema implichi condividere un male trasmissibile a terzi o identificabile da terzi come "macchia" sulle qualità umane di un individuo.
  • Paura di dipendere da qualcun altro, ovvero timore che il terapeuta diventi una figura indispensabile a cui dover rimanere legati a vita.
  • Difficoltà a parlare o entrare in contatto con emozioni dolorose, con il timore che la terapia sia solo uno spazio di smascheramento di aspetti di sé stessi che non ci piacciono.

Tutte queste variabili fanno percepire la richiesta di aiuto come "pericolosa", e tendono a far procrastinare la sua attuazione, preferendo il sopportare con fatica, da soli e in silenzio, le proprie sofferenze. Questi sono pensieri soggettivi che talvolta vengono disconfermati una volta iniziata la terapia stessa, e ciò consente il proseguo reale del percorso di cura e la costruzione di una buona alleanza terapeutica. 

· Chi può aiutarmi? Individuare il professionista:

A questi processi complessi e soggettivi che complicano la richiesta di aiuto, si sommano anche variabili concrete parimenti significative, quali: vicinanza dello psicoterapeuta al luogo in cui si vive, fattibilità economica (costo delle sedute) e temporale della terapia (numero delle sedute durante il mese), possibilità di accesso regolare allo spazio terapeutico a fronte degli impegni soggettivi. Inoltre ancora oggi, molte persone si trovano confuse rispetto a chi è la persona idonea a cui riferirsi per la richiesta di cura, barcamenandosi tra nomi di diversi specialisti della psiche come psichiatri, psicologi, psicoterapeuti, neurologi, counsellor, etc. Ognuna di queste figure in realtà svolge attività diverse, specialistiche e con obiettivi e mezzi diversi. Per cui è necessario riferirsi con chiarezza alla figura più idonea alla propria problematica.

  • Lo psichiatra: è un medico specialista con specializzazione post lauream in psichiatria, che si occupa dello studio sperimentale, della prevenzione, della cura e della riabilitazione dei disturbi mentali. Può somministrare farmacoterapie e anche avvalersi di tecniche psicoterapiche e di cura con la parola.
  • Il neurologo: è un medico specializzato in neurologia, che opera nella diagnosi e nel trattamento delle patologie che possono colpire il cervello, il midollo spinale, e il sistema muscolare e nervoso. Essendo un medico può somministrare terapie farmacologiche specialistiche. Di norma non svolge psicoterapie, a meno che non abbia specializzazione in merito.
  • Lo psicologo: ha conseguito l'abilitazione in psicologia mediante l'esame di Stato ed è iscritto nell'apposito albo professionale. Non ha specializzazioni aggiuntive e non è un medico, per cui può svolgere solo percorsi di sostegno psicologico, consulenze, riabilitazione e prevenzione. Non può svolgere psicoterapia, né può somministrare farmacoterapie.
  • Lo psicoterapeuta: è un medico o psicologo, che si è specializzato post lauream in una scuola riconosciuta dal MIUR o MURST di psicoterapia di durata almeno quadriennale (L. 56/89, art. 3). Nelle Marche ci sono 1.280 psicoterapeuti (Giardina, aggiornamento 2017). L'attività di psicoterapia è rivolta in alcuni casi alla risoluzione dei sintomi, e specificatamente alla scoperta delle loro cause (Ordine nazionale, 2015). Il percorso psicoterapico è specialistico e consente di approfondire, con terapie di diversa durata e orientamento, la problematica riportata. Lo psicoterapeuta non può somministrare farmacoterapia a meno che non sia laureato in Medicina e Chirurgia.
  • Il counsellor: "figura professionale che, avendo conseguito uno specifico Diploma al seguito di un Corso di Studi almeno triennale, è in grado di favorire la soluzione di disagi esistenziali che non comportino, tuttavia, una ristrutturazione profonda della personalità." (da: https://www.aspicmodena.it/chi_e_Counsellor.html). Questa figura dunque non può lavorare su una ristrutturazione profonda della personalità, ma solo lavorare sul potenziamento personale e dunque "aiuta il cliente a cercare soluzioni su specifici problemi di natura non psicopatologica", ovvero non interviene sui sintomi (da: https://www.cncp.it/1/67/COUNSELLING.htm).

Ognuno di noi comprende quando è il momento di affidarsi all'aiuto di qualcuno. In ogni caso mi piace pensare che la relazione terapeutica sia l'incontro, la possibilità di scoperta di sé stessi assieme ad un altro; e che l'ascolto e la parola siano la vera possibilità di incontro e di espressione di sé. Per accedervi è necessario il desiderio di scoperta e approfondimento personale, ovvero una motivazione, una domanda su di sé la cui risposta si può dipanare nell'incontro con l'altro. Come diceva Winnicott "La psicoterapia ha luogo là dove si sovrappongono due aree di gioco, quella del paziente e quella del terapeuta. La psicoterapia ha a che fare con due persone che giocano insieme."


Bibliografia 

APA (2014). DSM-5. Manuale statistico diagnostico dei disturbi mentali. Raffaello Cortina, Milano.

Elliott, K., Westmacott, R., Hunsley, J., Rumstein-McKean, O., & Best, M. (2015). The Process of Seeking Psychotherapy and Its Impact on Therapy Expectations and Experiences. Clinical Psychology & Psychotherapy, 22 (5), 399-408.

Lis, A., De Zordo MR., Venuti, P. (1995). Il colloquio come strumento psicologico. Giunti ed., Firenze.

Mantovani, G. (2003). Manuale di psicologia sociale. Giunti ed., Firenze.

Ordine degli Psicologi, Consiglio Nazionale. LA PROFESSIONE DI PSICOLOGO: DECLARATORIA, ELEMENTI CARATTERIZZANTI ED ATTI TIPICI. 5 giugno 2015.

Giardina, F. (2017). La psicologia in cifre. Banca dati Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi Fonte: https://demo.istat.it/bilmens2016gen/index.html

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