Quando la mente condiziona il cervello. Free solo: la paura non mi fa paura

25.09.2019

Alex Honnold è un arrampicatore "free solo" (arrampicata in solitaria senza assicurazione), ovvero un uomo che sfida le montagne, in privazione di qualsiasi sostegno salvavita, come corde chiodi o moschettoni, con il solo ausilio degli arti. In uno speciale del National Geographic (trailer: https://www.youtube.com/watch?v=urRVZ4SW7WU) viene raccontata la sua storia, la sua audacia nello scalare El Capitan nello Yosemite National Park, un'esperienza tanto lontana dal pensiero comune da farci tutti domandare cosa ci sia di diverso nel suo cervello che gli consente di sfidare la morte. "To Honnold" è diventato un verbo, un neologismo, coniato a partire dal suo cognome, usato per descrivere il trovarsi in luoghi pericolosi, isolati o precari privi di protezione. Un verbo che racchiude le più ancestrali paure dell'essere umano: il rischio della morte, la solitudine, l'assenza di protezione, poiché nelle prestazioni di Honnold tutto questo viene ricorrentemente sfidato. Ciò che è interessante di Honnold è la sua percezione della morte. Alex infatti non dice di non pensare alla morte, né di attuare un qualche meccanismo di evitamento, rimozione o spostamento, semplicemente sente di accettarla come normale esito del destino umano. Per tali ragioni durante la scalata la considera una variabile insita al percorso, ma non la sente a livello emotivo in modo bloccante o invalidante, sostanzialmente non la rende una fobia. In questo processo di pensiero Alex si muove in modo esattamente opposto al comportamento fobico - evitante, nel quale si viene "dominati da paure specifiche che - i soggetti- tengono a bada per mezzo dell'evitamento" (PDM, 2008, p.51). Alex anestetizza la morte come pensiero fobico e dunque non ne viene cavalcato né bloccato. Ma come è possibile? Mentre infatti "la dinamica centrale dei funzionamenti psicologici evitanti è il tentativo di affrontare l'angoscia legandola a situazioni specifiche e temute che, a quel punto, vengono costantemente evitate" (ibidem), Alex elimina la tendenza ancestrale di ogni individuo ad ancorarsi alla paura (fobia) in momenti di difficoltà. Sostanzialmente distingue l'ansia dai problemi/rischi reali e concreti e cerca una soluzione altrettanto concreta. Il fobico attua il meccanismo opposto: canalizza le angosce della vita reale in oggetti fobici da evitare. Le ragioni che spiegano questo comportamento, e che emergono nel video, sono apparentemente due: una riguarda la neurobiologia del cervello, nello specifico il funzionamento dell'amigdala; l'altra riguarda la capacità di Alex di controllare il pensiero, non solo desensibilizzandosi gradualmente alla situazione limite a cui si espone, ma soprattutto usando una modalità ossessiva e metodica, che ben poco ha di impulsivo e casuale, per preparare la scalata. Questo secondo aspetto è tipico del rigore dell'atleta e dello sportivo estremo: pensiamo a quanto gli alpinisti studino le vie o i meteo durante le scalate da un campo base ad un altro. Il funzionamento dell'amigdala di Alex e il suo comportamento metodico possono essere collegati tra loro. La neurologa Jane E. Joseph, della Medical University of the South Carolina si è interessata come neuroscienziata allo studio dei processi di pensiero ed emozioni, anche attraverso un'analisi del cervello di Alex. I suoi studi si sono focalizzati sul meccanismo della Sensation Seeking, un processo che porta i soggetti a ricercare forti emozioni ed esperienze a marcata carica emotiva, senza specifici fini o obiettivi, ma con il solo scopo di esperire sensazioni marcate. Nello studiare il cervello di Alex attraverso risonanza magnetica, l'atleta è stato sottoposto all'esposizione visiva di stimoli generalmente fobici o provocanti reazioni di paura nell'essere umano (es. disastri umani). Allo stesso tempo venivano mostrare immagini positive o attivanti (es. immagini erotiche). Alex non sembrava essere il classico soggetto che agisce impulsivamente alla ricerca di forti emozioni perché, dice la Dottoressa, risulta particolarmente lucido e consapevole dei rischi che corre. Ciò che emerge è davvero interessante: "Anatomically, Honnold's brain is normal (if there is such a thing). But his amygdala, historically considered the brain's fear detector, didn't respond to our images like an average sensation seeker's did- the pictures weren't intense enough to stimulate that part of his brain. That could be because he regularly faces real fear and has conditioned himself to distinguish it from anxiety. Feeling scared is an ­appropriate response to an immediate threat, such as hanging off a cliff with no protection whatsoever. Anxiety happens when a nonthreatening stimulus, such as imagining roaches or rotting food, triggers an association with danger. As an extreme risk-taker, Honnold knows the difference." (from Verger, 2018).

Ciò che emerge è che Alex non ha la stessa attivazione di un soggetto Sensation seeker, la sua amigdala è come "anestetizzata", tanto da non accendersi in presenza di condizioni ansiogene per la media delle persone. Massimiliano Iacucci (2014) in un interessante articolo proposto su State of Mind sulle esperienze dei sensation seeker ci dice che "Csikszentmihalyi (1975) ha scoperto proprio negli scalatori esperienze flow particolarmente intense (deep flow). Essi raccontano che, mentre si arrampicano, sono di necessità completamente concentrati sullo spazio che immediatamente li circonda, cioè sull'appiglio che la mano deve afferrare nei secondi successivi. La loro percezione del tempo passato si contrae al massimo ai trenta secondi precedenti e la loro pianificazione non supera i cinque minuti. Non esiste assolutamente nulla oltre all'azione che stanno ora svolgendo: tutto è chiaro e limitato all'arrampicarsi, tanto che la vita con le sue contraddittorie esigenze e i suoi problemi in questi momenti non esiste. In casi ideali sembra quasi che i movimenti si adeguino naturalmente alla roccia." (From: https://www.stateofmind.it/2014/10/sensation-seeking-rischio/). Le esperienze "flow" sarebbero caratterizzate da una tendenza all'assorbimento totale in una attività che occupa la mente del soggetto, ma in modo fluido e privo di particolare sforzo o concentrazione, o meglio non sono presenti tutti quegli sforzi cognitivi che regolano in modo significativo lo svolgimento di una azione. In questo stato la percezione del tempo è alterata e viene a mancare la riflessività e la consapevolezza di sé. Nonostante ciò non emergono azioni impulsive, sembra piuttosto una sorta di esperienza di distacco legata al momento presente.

Sembra, dunque, che Alex, immerso in questo stato simil-dissociativo o "flow", tenga ben distinta l'ansia dal pericolo reale, e così facendo non venga condizionato da stati ansiosi, né associ a stimoli neutrali dimensioni di paura. Come è possibile questo? La mente di Alex, ovvero la sua capacità di distinguere realtà da immaginazione, ha modificato l'anatomia del cervello tanto da disattivare la funzione dell'amigdala? O Alex attua una massiccia forma di evitamento controfobico che inibisce e sfida la reazione fobica? Cerchiamo di comprendere ancora. Alcune ricerche citate da Iacucci sostengono che in realtà lo sportivo che attua sport a rischio non sembra essere spinto da una pulsionalità mortifera, bensì da un desiderio di controllo delle variabili pericolose dipendenti dalla competenza. Sostanzialmente desiderano dimostrare la propria abilità a fronte del rischio associato allo sport. Dunque non sono spinti solo da una ricerca di forte sensazioni, ma anche dal desiderio di dimostrare la propria abilità. Certamente il peso del rischio e la componente del controllo sul rischio attraverso le proprie abilità sono due variabili interconnesse e direttamente correlate: all'aumentare del rischio, aumenta il peso della competenza. In qualche modo la componente controfobica sta proprio nello sfidare l'ipotizzabile rischio preventivato. In ultimo sembrerebbe entrare in campo anche una componente organica, ovvero un piacere esperito nel movimento corporeo in stati di spinta, sospensione, accellerazione definita "componente vestibolare". Questa componente indica un'attrattiva insita all'essere umano di percepire una sorta di vertigine piacevole in stati di movimento corporeo in accellerazione lineare o rotatoria (Caillois, 1958, cit da Iannucci 2014).

Come possiamo spiegare tutto questo? Proviamo ad accogliere due teorie in opposizione, cognitiva e dinamica, proprio partendo dalla storia di Alex, e cerchiamo di comprendere come la storia personale potrebbe aver plasmato l'espressione cerebrale e comportamentale.

LA TEORIA COGNITIVA: TEORIA DESENSIBILIZZAZIONE

Una prima possibile ipotesi è un processo di graduale desensibilizzazione agli stimoli con cui Alex si confronta. Infatti, iniziando ad arrampicarsi da bambino è possibile che Alex abbia appreso una tecnica mentale di gestione degli stimoli che gli consenta un problem solving strutturato ma anche flessibile in base all'oggetto che va ad affrontare: strutturato- flessibile, nel senso che adatta una tecnica nota di arrampicata, alla flessibile variazione della montagna e delle sue caratteristiche. Questo si evince in modo abbastanza evidente dal video, in cui Alex ripete in modo ossessivo, meticoloso e scrupoloso ogni passaggio che apprende dall'esperienza con la montagna ed esercita il corpo a ripetere quel movimento preciso che gli ha consentito di superare l'ostacolo. Solo quando il corpo ha appreso il movimento, passa ad affrontare quello successivo. Durante la scalata questa tecnica gli consente di isolare il pensiero, focalizzandosi sulla ripetizione di un "mantra", che come una sorta di pensiero ripetuto e concentrato può dissociarlo dal resto delle cose. Svuota la testa riempiendola di passaggi che ripete in modo meticoloso. Questa è una esperienza deep flow. Infatti, Alex non sopporta di scalare in presenza di telecamere o della sua ragazza, come se un oggetto distraente di cui preoccuparsi permettesse l'ingresso dell'emozione di paura e dell'insicurezza, due stati psichici molto sofferti da Alex bambino e forse per questo isolati. Regina Pally (2000) spiega bene come l'attitudine a ripetere pedissequamente una certa azione può essere acquisita a livello inconscio e contribuire alle nostre modalità di azione e comportamento automatico, con se stessi e con gli altri. In questo senso il cervello è un "emulatore della realtà" (p.128) ovvero è in grado di adattarsi in risposta all'ambiente attraverso modelli preformati atti a rispondere a caratteristiche generali ambientali. Centrali in questo processo sono le aree senso-motorie, e la relazione tra questi sistemi viene definita da Llinas "interazione comportamentale predittiva", "in cui un sistema 'anticipatore' intrinseco accresce le capacità dell'animale di rispondere rapidamente alle situazioni ambientali" (ibidem, p.129), sostanzialmente creiamo immagini mentali elementari per muoverci in un dato ambiente.

FATTORI PSICODINAMICI

Una seconda ipotesi è psicodinamica: si ricerca nella storia di Alex la possibile relazione tra desensibilizzazione emotiva e capacità atletiche. Dal video emerge che Alex non è stato abituato a rapportarsi con le emozioni fin da piccolo, in una famiglia che potrebbe definirsi evitante. Il padre viene descritto da Alex come un soggetto afflitto da Sindrome di Asperger, la mamma come una donna che non ha mai detto "Ti amo" se non nella sua lingua originaria, diversa dalla lingua parlata da Alex. È possibile che Alex non abbia mai avuto modo di rapportarsi direttamente con l'emozione e abbia imparato a silenziarla, anche grazie allo sforzo fisico che richiede una concentrazione razionale totale. Alex non sembra rappresentare del tutto il classico soggetto controfobico descritto in psicodinamica come un individuo che ama il pericolo per sfidare la profonda paura che lo cavalca, pensando che gli altri ammirino il suo coraggio (PDM, 2008). Questi soggetti hanno una profonda paura, ma semplicemente attivano difese di diniego, formazione reattiva e proiezione per isolarla. Sfidando la paura e dimostrandosi forti pensano al tornaconto secondario dato dallo sguardo dell'altro. In questo modo evitano le normali angosce umane e i loro sentimenti, risultando spacconi e onnipotenti agli occhi degli altri. Al contrario, i soggetti fobici "pensano di essere del tutto al sicuro se si tengono a distanza di alcuni pericoli (...) e possono aver paura anche dei propri affetti ed evitare la consapevolezza dei propri stati emotivi." (PDM, 2008, p.51); i controfobici piuttosto "si organizzano psicologicamente attorno alle difese dalle loro paure. Le persone che amano le situazioni rischiose, e anzi si animano di fronte al pericolo e hanno la reputazione di non perdere la calma neppure in situazioni estreme, possono essere collocate in questo gruppo." (PDM, 2008, p.52). Eppure anche dietro questa forma di comportamento il PDM individua un pensiero magico che è la convinzione di "non farsi mai del male, indipendentemente dai pericoli che vanno a cercare". Dunque queste persone disprezzano o denegano la paura, e pensano di poter affrontare qualsiasi situazione senza paura. Per Guidano (2010) questo pattern psicodinamico non trova una specifica spiegazione genetica, che forse può essere rintracciata da queste primarie ricerche su Honnold, il quale per alcuni versi corrisponde allo stile controfobico, per altri può esprimere una personalità controllante ed ossessiva. In entrambi i casi l'isolamento affettivo sembra essere il core del comportamento di Alex. 

Guidano, V.F. (2010). Le dimensioni del sè. Una lezione sugli ultimi sviluppi del modello post-razionalista. Aleps, Roma.

Iacucci, M. (2014). Il Piacere derivante da attività rischiose e la Ricerca di Sensazioni. Come si sviluppa e quali caratteristiche ha la tendenza alla ricerca di sensazioni? Il fascino che le attività rischiose esercitano su certi individui. From: https://www.stateofmind.it/2014/10/sensation-seeking-rischio/

Lingiardi, V., McWilliams, N. (a cura di) (2018). PDM-2, Manuale Diagnostico Psicodinamico, Seconda Edizione. Raffaello Cortina, Milano.

National geographic "Free solo", speciale del 2 aprile 2019 Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=urRVZ4SW7WU.

Pally, R. (2000). Il rapporto mente-cervello. Giovanni Fioriti, Roma.

PDM Task Force, (2008). Manuale Diagnostico Psicodinamico. Raffaello Cortina, Milano.

Verger R., (2018). "What happens in the minds of free climbers Studying the brains of daredevils like Alex Honnold." from https://www.popsci.com/daredevil-psychology.

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